Il Paese delle donne, n.14/15 - 28 maggio 2000 |
Mondo/Rawa e il Campo
Pubblichiamo stralci della relazione "Vita nei campi profughi afghani nel nord del Pakistan", di Paola Boncompagni - che ha intervistato profughe e profughi afghani del campo di Jalozei - presentata a Roma, il 12 maggio alla Conferenza stampa "Io donna dietro il burqa".
Lungo le centinaia di chilometri di confine con l'Afghanistan ci sono 203 campi, alcuni sorti nei primi anni Ottanta durante la guerra con la Russia, ed altri nati nel corso degli anni a causa della lunga guerra civile tra fondamentalisti. I Taliban, che dal 1996 hanno preso possesso della capitale afghana Kabul e che controllano il 90% del paese, combattono con i Jihadis, altri integralisti, tra i quali spicca la figura del comandante Ahmad Shah Massoud, leader del Fronte Unito (...).In Afghanistan, come è noto, alle donne è stato proibito di studiare e lavorare e imposto l'obbligo di indossare il burqa, pena le percosse delle ronde di vigilanza Talibana o l'arresto. Lo stesso vale per qualsiasi uomo che si privo di una folta barba, simbolo per eccellenza della fedeltà maschile all'Islam. Le 16 famiglie che ogni giorno varcano il confine in cerca di riparo nei campi pakistani, forse non troveranno una realtà sociale così diversa dalla loro. Il colo indaco tipico del burqa afgano, spicca anche nella maggior parte dei campi in Pakistan, dove alcuni fondamentalisti dettano legge fin dai primi anni dell'esodo dei rifugiati."La maggior parte dei campi sono controllati da diversi partiti integralisti" dice un medico che opera a Jalozei, un campo che ospita 32mila rifugiati vicino alla città di Peshawar "sono i Massoud, i Gulbudin, i Rabani...ma non quì. Questo campo è autogestito dai rifugiati. E' per questo che la gente vuole venire quì. Si sentono al sicuro. Le donne non indossano il burqa e vanno in giro tranquillamente col viso scoperto. Anche le bambine possono andare a scuola. Più di un fondamentalista è venuto dicendo che le scuole femminili andavano chiuse, ma la gente ha fatto resistenza.(...) Nei campi, le uniche donne che hanno diritto ad uscire col viso scoperto sono le ultracinquantenni, poiché come madri di famiglia e nonne hanno guadagnato il dovuto "rispetto". Lea altre, le madri, le sorelle, le cugine e le zie, restano a casa ad occuparsi dei figli e degli uomini della famiglia, avendo il permesso di uscire solo per andare a matrimoni, cerimonie funebri, per partorire o per andare dal medico. Anche la spesa nelle spoglie botteghe all'interno dei campi è affare dei soli uomini. Dato che un'intera generazione di afghani è stata privata dell'istruzione, le venticinquenni sono analfabete ed hanno in media 5 figli. Le scuole nei campi offrono istruzione ad una bassa percentuale della popolazione infantile e su 10 studenti solo due sono bambine. Le donne non hanno voce in capitolo. Unica eccezione è Rawa, l'associazione delle donne Rivoluzionarie Afghane che ha oltre duemila iscritte che opera clandestinamente sia in Afghanistan che in Pakistan.
"Siamo la sola organizzazione che difenda le nostre donne " dice Huma, 21 anni, "le case delle nostre iscritte ospitano 36 scuole, organizziamo 7 corsi in Afghanistan e 4 in Pakistan, dove centinaia di donne imparano a leggere, scrivere e studiare. Abbiamo 13 team di medici mobili in sette province afghane ed altri nei campi pakistani. Insegnamo alle nostre donne a guadagnarsi da vivere vendendo tappeti e vestiti fatti da loro o allevando polli e pesci. Abbiamo un comitato di 11 donne, che agiscono nei due paesi e nove gruppi di lavoro, specializzati in vari settori. Abbiamo un comitato di 11 donne, che agiscono nei due paesi e nove gruppi di lavoro specializzati in vari settori. Uno stampa la nostra rivista "Women"s Message", un altro si occupa del nostro sito internet e insegna alle nostre iscritte ad usare il compiuter, un altro ancora si occupa di organizzare riunioni e seminari. Siamo obbligate ad operare in totale clandestinità, soprattutto in Afghanistan dove i corsi non possono mai tenersi nelle stesse case, poiché qualcuno potrebbe insospettirsi e chiamare i Taliban. Svolgiamo un'attività capillare, e anche per noi è difficile avvicinare le donne. Per farlo, dobbiamo ottenere il permesso dei mariti, spesso anch'essi stanchi dei fondamentalisti e coscienti dell'importanza dell'istruzione e della mobilitazione. Non sono pochi e ci aiutano".
"La nostra associazione Rawa - dice Saima, di 28 anni, incontrata nel campo di Jalozei - è stata fondata nel 177 a Quetta, dalla nostra leader Meena, uccisa nel 1987 dagli integralisti. Nel nostro paese il 50 % degli intellettuali sono stati uccisi. Solo a Kabul abbiamo 50.000 vedove e la vita per una vedova da queste parti è difficile."(...) Secondo la tradizione, una vedova viene sempre risposata da uno dei fratelli o cugini del marito. Ma per chi non ha parenti, risposarsi vuol dire separarsi dai propri figli, che col nuovo matrimonio andrebbero automaticamente in custodia al suocero, poiché tutta la dote della sposa diventa proprietà della famiglia del marito. I figli crescerebbero lontani da lei, disprezzandola, perché una vedova che si risposa al di fuori della famiglia del primo marito non meriti il rispetto di nessuno, tantomeno quello dei propri figli (...).
Una bambina dagli occhi verdi con una brocca di alluminio sulla testa, avanza curiosa e timida, attirata dalla piccola folla. Ma appena si avvicina, i maschi la cacciano via a pedate. Forse, sono già a conoscenza di quel vecchio detto afghano che suona così "Le donne si possono trovare solo in due posti: a casa o nella tomba".
RAWA, Revoluzionary Association of the Women of Afghanistan
P.O. Box 374, Quetta, Pakistan, +92-300-5541258
E-mail: rawa@rawa.org
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